sabato 12 dicembre 2015

La Cosa. Parte prima

E' da parecchio che non scrivevo su questo blog; non che non abbia incontrato muri ed ostacoli da maggio ad oggi, ma non sempre c'è bisogno di raccontare i propri muri o non sempre lo si può fare "in diretta".
Oggi voglio iniziare a raccontarvi la storia di un muro che non so nemmeno io quando è arrivato nella mia vita.
Questo muro ha un nome, un nome che fa paura anche solo a pensarlo. Si chiama Tumore, ma io quando ancora non lo sapevo, lo chiamavo banalmente La Cosa, ed è così che mi piace continuare a chiamarlo. A dire la verità il suo vero nome è ben più lungo ed incomprensibile. Tumore a cellule della granulosa di tipo adulto con componente di tipo giovanile. Capite ora perchè La Cosa è un nome sicuramente più accessibile.
Ebbene io non so quando La Cosa ha iniziato a crescere dentro di me. Ho scoperto che lei era li, attaccata al mio ovaio sinistro il 28 luglio 2015. Quel giorno ho saputo che lei c'era, anche se non sapevo ancora cosa fosse, non conoscevo il suo nome complicato e soprattutto non sapevo che cosa implicasse avere La Cosa.
Dato che le cose semplici a me non son mai piaciute, dovete sapere che nemmeno i medici dopo i primi esami riuscivano bene a capire di che cosa si trattasse. "Cellule della granulosa" era giusto appuntato con un punto di domanda dentro una parentesi e il nome provvisorio consisteva in un banale ed anonimo "Formazione ovarica".
Formazione ovarica che alla prima ecografia a fine luglio risultava grande 14x7 cm per arrivare al 16 settembre a misurare 15x13x12 cm.
Ma andiamo con calma.
Dopo quel famoso 28 luglio ho iniziato a frequentare con assidua frequenza ospedali e cliniche per eseguire una quantità di esami che neanche a mettere insieme gli ultimi cinque anni della mia vita ci sarei andata vicina. Alcuni, poi, con nomi mai sentiti prima come isteroscopia e colposcopia.
E tra gli altri, ci sono stati anche gli esami del sangue per i markers tumorali: negativi. Ma come?? Eh si, La mia amica Cosa è dispettosa e non si fa riconoscere.
Da una parte è un sollievo: sì, è grossa, ma probabilmente è "solo" una cisti e posso andare in vacanza senza sentirmi una malata di cancro, anzi io malata non mi sentivo proprio!
Ed eccoci a settembre: il prericovero e altri meravigliosi esami, il ricovero nella Week Surgery dell'Ospedale di Lecco, dove ho incontrato delle infermiere splendide (prima volta nella vita) e mercoledì 16.
E' il momento: i medici guarderanno in faccia La Cosa, la tireranno fuori della mia pancia e probabilmente capiranno più esattamente di che cosa si trattava veramente.
L'attesa sembra infinita, poi camice (orrendo), cuffietta (ancora più orrenda) e nient'altro: niente orecchini, niente catenina del nonno, niente orologio, solo io e La Cosa (e ovviamente un po' di paura). Si viaggia per i corridoi dell'ospedale, raggiungendo sale che non si vorrebbe mai raggiungere, aghi, solite domande dei dottori sul nome e la data di nascita (non si può rischiare di sbagliare paziente!), freddo, luci, persone, fatemi questa maledetta anestesia che mi sto agitando, il vuoto.
Il risveglio è difficile da raccontare perché si è troppo rimbambiti per capire e per ricordare. Mi hanno detto che mi sono svegliata giù da basso, ma io non lo so. Ricordo la camera e i dottori: tanti dottori. Ricordo benissimo Cecilia, la dottoressa con la frangetta che ha una bella voce e Giorgio, il medico giovane, simpatico e carino (e già occupato. ma questo l'ho scoperto solo tempo dopo, e poi non c'entra con il mio racconto). Ricordo che volevo sapere ma se mi hanno detto qualcosa di preciso io non me lo ricordo.
Poi i dottori sono andati via e al loro posto è arrivato il vomito: io la morfina non la reggo. Ogni conato è stato un dolore lancinante alla pancia.
17 settembre. Ho compiuto gli anni con un'ovaia in meno. Strano. La giornata inizia in modo traumatico: mi dicono che devo alzarmi dal letto. Ma come?? Di già?? Fascia ortopedica e via: dal letto alla sedia ad un metro, o forse meno, di distanza e mi sembra di aver conquistato la vetta dell'Everest. Il super rincoglionimento da anestetico prosegue: modalità zombie ON. Mi dicono che non si capisce nemmeno cosa provo perché sono senza espressione. Ahh, la chirurgia, che gioia!
Il vomito fa capolinea anche questa sera. E' di color verde abete. Curioso. Di nuovo, ogni conato la morte mia. Ma siamo tosti e tiriamo mattina: abbiamo scoperto che vado d'accordo con il paracetamolo.
Il 18 giro per il piccolo reparto che sembro una bambina appena impara a camminare: tutte le infermiere mi fanno i complimenti. E' confermato: sono tosta. E sono tosta (seee, magari!!!) anche quando il giorno successivo Giorgio mi dimette dicendomi che ora devo fare una puntura al giorno nella pancia per... 24 GIORNI!! Cosa? Scherziamo?? Lamentarmi è inutile.
Si torna a casa, faccio la servita e riverita per qualche giorno poi - maledizione - sono tosta per davvero e mi rimetto in forma troppo presto.

La storia sembra finita... e invece no: perché in questi casi a decretar la fine (o l'inizio) è l'esame istologico: l'analisi di alcune biopsie che mi son state fatte durante l'intervento, pezzi di me finiti sotto esame. Qui ci sta bene un bleah!
Ebbene, è stato proprio l'esame istologico a dare un nome a La Cosa. L'8 ottobre La Cosa è stata chiamata per la prima volta Tumore. Avevo un TUMORE. E adesso?

domenica 3 maggio 2015

... come nulla fosse

Se qualcuno ti fa leggere, di quel qualcuno automaticamente vale la pena di scrivere.

L'aereo è incredibilmente in orario, cosa strana,soprattutto dopo l'esperienza di tre giorni fa quando il volo di andata ha ritardato di più di due ore. Davanti al gate non mi guardo troppo in giro, sono occupata dal pensiero di sedermi sulla valigia evitando di romperla e le tre passeggere milanesi esattamente davanti alla mia visuale parlano sufficientemente ad alta voce da attirare la mia attenzione, senza bisogno di cercare altri punti di interesse.
Imbarcate sul volo delle 10:00, come al solito il mio posto è quello centrale a destra: niente finestrino, niente corridoio. La mia visuale umana si riduce ai mie due compagni di fila, agli assistenti di volo che percorrono il corridoio in lungo e in largo e il passeggero al posto corridoio della fila sinistra avanti di una alla mia.
A sinistra la mia compagna di viaggio, a destra (come al solito, anche questa volta) un uomo di mezz'età di scarsissimo interesse. Penso che il ragazzo col braccio tatuato, unico altro passeggero nella mia visuale, sarebbe stato un fantastico vicino di posto.
Poi i passeggeri spariscono tutti, i miei sensi si focalizzano sul leggero movimento del sedile, le ali che si aprono per prepararsi al decollo, il rumore dei motori pronti a dare il massimo per combattere anche questa volta la forza di gravità. Amo il momento del decollo, per pochi secondi mi sento come a Gardaland.
Il viaggio di ritorno inizia. Leggo la rivista di bordo della Ryanair, faccio un mentale breve bilancio della vacanza, proseguo di un paio di capitoli il libro di didattica della matematica che ho portato con me. Il mio passeggero preferito, in tutto questo, resta sempre nel mio campo visivo, fino a quando i due passeggeri al suo fianco non decidono di cambiare posto. Il ragazzo allora slitta sul sedile vicino al finestrino, rimanendo solo.
Non so quale strana spinta di intraprendenza mi fa alzare dal sedile per raggiungerlo. Cerco di iniziare la conversazione in modo spigliato e disinvolto, anche se credo che un discreto osservatore non si sarebbe fatto sfuggire qualche espressione traditrice sul mio viso.
Tra un misto di imbarazzo e sicurezza mi guadagno un nuovo posto sull'aereo: io e Sebastiano chiacchieriamo di Salonicco, del volo di andata, del lavoro, di matrimoni, di libri e film, di fratelli, di case e di viaggi passati. Lui si rivela non solo di bell'aspetto, ma anche piuttosto interessante.
Lo strano effetto che fa incrociare lo sguardo con uno sconosciuto resta sempre una cosa inspiegabilmente potente.
La seconda ora di viaggio trascorre velocemente, attraversiamo le nuvole di Bergamo, il carrello delle ruote per l'atterraggio viene abbassato, il mio nuovo vicino di posto mi consegna il suo biglietto da visita.
L'aereo atterra, ci stringiamo la mano, un sorriso veloce, recuperiamo i bagagli a mano e poi via, ognuno per la propria strada, come corpi celesti le cui rotte si sono passate vicino giusto per un attimo per poi tornare ad allontanarsi, quasi come nulla fosse.

Quasi come nulla fosse.

giovedì 22 gennaio 2015

Il muro. Fulminea parte seconda.

Cavoli, mi è appena arrivato in faccia, chiaro, come un'onda inaspettata, un pensiero.
Il pensiero che si nascondeva ultimamente, che sapevo che c'era ma che non riuscivo a decifrare con chiarezza.

HO PAURA DI SCRIVERE.

Io, che sono quella che scrive.
Io, il muro.

Il muro.

Come tante volte mi ritrovo con questa pagina aperta.
E' sempre facile da aprire.
Ma non è così facile riempirla, e soprattutto chiuderla cliccando su quel "Pubblica" che ti osserva imperterrito in cima alla schermata.
Come ogni volta qui si tirano i fili, e quando è tempo di sbrogliare qualcosa, bisogna farlo.
Senza tanti giri di parole, senza troppi tentennamenti, Altrimenti non funziona.
Io sono ferma. Anche quando ho creduto di muovermi.
Forse non è stata solo colpa mia questa volta.
Credo che per quanto uno voglia restare a tutti i costi fermo immobile, se arriva una scossa inaspettata, tutta la fermezza si sgretoli senza lasciare il tempo di pensare a nulla.
Come quando da piccola giocavo in mare cercando di non farmi spostare dalle onde e inevitabilmente il mare l'aveva sempre vinta.
Ma oggi il mare è piatto.
Il mare è piatto. E io sono ferma, come uno scoglio.
Come un muro.
Io sono il muro. Quel muro che un tempo ho avuto davanti e un tempo ho avuto dietro.


Come si scavalca un muro, se il muro sei tu?

sabato 3 gennaio 2015

Auguri!

Benvenuto 2015.
Per la prima volta in assoluto, ti ho accolto in rosso, ho mangiato le lenticchie e chissà che a seguire queste assurde tradizioni non venga fuori qualcosa di buono.
Non ho propositi.
Qualche anno fa avevo scritto che era importante trovarne almeno uno; poi però l'anno scorso ne avevo in quantità e la maggior parte è andata a remengo, come riprendere a studiare il tedesco e andare a correre.
Quindi, quest'anno niente propositi.
Punto sul cambiamento. Fino ad ora non mi ha mai deluso.
Invece dei propositi, però, voglio fare degli auguri, a chiunque leggerà.

In questo anno vi auguro di avere occasione di abbracciare un bambino,
di restare la sera a guardare le stelle alte nel cielo, magari cercando con lo sguardo la stella polare,
vi auguro di dormire bene, su materassi comodi e cuscini profumati dell'odore che più vi piace,
di fare un viaggio, almeno uno,
di cantare al karaoke, anche se non vi piace, siete stonati o non avete bevuto abbastanza,
vi auguro di avere l'occasione di costruire un cuore di carta argentata o di pongo,
vi auguro un estate piena di sole e sale,
di andare a ballare anche se ormai vi sentite troppo vecchi per farlo,
di leggere dei bei libri, anche se dovessero essere per bambini,
vi auguro di ricevere un regalo sciocco,
di guardare dei film che vi facciano piangere o riflettere,
di guardarvi allo specchio e sorridere,
vi auguro di splendere.