sabato 6 agosto 2016

La Cosa. Parte quarta

Lunedì 29 febbraio 2016.
Per un tumore raro meglio scegliere una data rara. Eccomi in ospedale ad indossare - di nuovo - il meraviglioso camice coi lacci sulla schiena, la cuffietta verde e le immancabili calze operatorie che ti stringono le gambe come due bei salsicciotti. Il reparto è sempre l’accogliente week surgery dell’Ospedale di Lecco dove ritrovo le mie infermiere. Mi piace la week surgery! Ad operarmi è sempre lui: il primario di ginecologia che a tagliarsi i baffi simmetrici proprio non ci riesce (glieli controllo sempre). Il momento di scendere verso la sala operatoria è sempre particolare, perché è lì che si inizia ad avere la paura un po’ più vera, quella fisica. Sembra che il tuo corpo d’improvviso sia dieci volte più ricettivo, senti ogni muscolo, ogni respiro, la temperatura che cambia. Le infermiere stemperano la tensione con qualche chiacchiera di circostanza, dopo le immancabili domande sul nome e la data di nascita. Poi arriva il buco nel braccio per la flebo, l’entrata in sala operatoria, l’arrivo dei medici, la sistemazione sul tavolo operatorio con relativa svestizione e uno, due, tre, quatt…
Il risveglio un po’ me lo ricordo: l’anestesia è stata decisamente più leggera dell’altra volta. Ero in una saletta con un altro paziente a fianco e un infermiere (o forse era l’anestesista) di fronte a me. Mi dice che dobbiamo aspettare ancora un attimo e poi saremmo saliti. Ok, non ho fretta, non ho preso altri impegni per la giornata. Ad attendermi in camera, come sempre, c’è la mamma. La ripresa da questo intervento è veloce e per poco non scampo anche il vomito (un solo episodio prima di addormentarmi). Il medico ci riferisce che l’intervento è andato bene e che a livello macroscopico non hanno trovato nulla. Il giorno successivo vengo subito dimessa, con la prescrizione di 18 punture nella pancia. Ok, ormai me ne son fatta una ragione, tanto che ho imparato anche a farmele da sola. La dottoressa mi chiede quanti giorni sento di dover stare a casa dal lavoro, butto là un “due giorni?” ricevo in risposta un “mmm… di solito per questo tipo di intervento diamo due settimane”, alla fine ci accordiamo per quattro giorni a cui avrebbero fatto seguito un sabato ed una domenica. A casa mia non esiste stare così tanto lontana da scuola, e non certo per stacanovismo, semplicemente amo il mio lavoro. Passano i giorni, i tre piccoli tagli dell’intervento si rimarginano, i punti si sciolgono, riprendo con la dovuta attenzione ad andare in palestra e a fare gli addominali, vado a Berlino per le vacanze di Pasqua. Poi arriva il giorno del ritiro dei referti istologici.

Lunedì 4 aprile 2016.
Ci sono positività. Sono piccole, proprio a livello cellulare. Ma ci sono. Le linee guida in questo caso suggeriscono caldamente la terapia: chemioterapia con schema PEB. Prima di iniziare si susseguono esami di ogni sorta: TAC, PET, spirometria, ecocardiogramma, esami del sangue. E, ovviamente, la visita oncologica dove mi spiegano bene come funzionano i cicli di terapia. Mi dicono che, dal momento in cui inizierò la terapia, fino alla fine dell’anno scolastico molto probabilmente non riuscirò ad andare al lavoro. In quel momento questa è la cosa più difficile da accettare.

Lunedì 2 maggio 2016.
Primo giorno di chemioterapia.