martedì 28 febbraio 2017

Il sopravvivere malvagio e la morte

Oggi ho letto molti post su Facebook, sulla storia di Fabo.
Ho letto tante opinioni: ho letto tanta rabbia ed empatia ma anche tante parole facili, sentenze sputate tra i denti, accuse, ho letto grandi paroloni e trascendentali teorie politiche, religiose o pseudo-tali.
Io mi son sentita toccata da questa storia.
Nel mio piccolo ho riflettuto molto sull'argomento, e sono arrivata alla conclusione che io non sto con nessuno, se non con me stessa e con quanto ho maturato dalla mia esperienza, fatta di tanti pezzi, tanti aspetti.
Io credo che non esista una risposta facile, ma anche che è nostro dovere cercarla questa risposta, negoziarla, metterla in gioco, un gioco bello però, fatto di opinioni ragionate, di parole cercate con delicatezza e rispetto.
Io credo che sia giusto che, se ben pensata, se ben riflettuta, l’eutanasia sia una scelta possibile, da riservare a se stessi.
Io credo che il sopravvivere malvagio non possa essere una vita a tutti i costi. A volte è più vita la morte, perché la morte a volte è più azione della vita.
È un arrendersi? Forse… e anche se lo fosse, chi lo ha mai detto che nella vita non ci si possa arrendere ogni tanto? Che non possa essere giusto farlo?
Io credo – perché l’ho imparato – che a volte arrendersi è la cosa più giusta da fare. Come quando ho lasciato l’università. E non perché quell'università fosse brutta o non valesse, ma semplicemente non era quella la mia strada. E se volete saperlo, è stata la scelta migliore della mia vita fino ad oggi. E, aggiungo, nemmeno tra le più facili da prendere, perché ci vuol coraggio per cambiare le cose.
Ecco, questo per dire che io credo anche nell’arrendersi, ogni tanto, che non è codardia.
Viviamo in un mondo dove morte, malattie e sconfitte devono starci il più lontano possibile, bisogna parlarne a sottovoce. E invece no. Di queste cose bisogna urlare. Perché non sono queste le cose di cui aver paura.
È del vivere a tutti i costi che dovremmo aver paura. È del voler cercare la perfezione, la vittoria su tutto e tutti.
Io credo che dovremmo imparare ad accettare di più la morte nelle nostre vite, anche quelle scelte.
E torno al mio inizio, alla storia di Fabo, di cui io in realtà so ben poco, ma di cui ho intuito il sopravvivere malvagio (no, non c’è un’altra espressione per definirlo meglio). E vi chiedo, voi quanto ne sapete? Quando sapete davvero del sopravvivere malvagio?
Io ne so davvero poco, ma quel poco lo so. Quel poco che mi basta per capire Fabo e la sua scelta.
Ed io immagino che non sia stata solo una questione del non poter più vivere la vita di prima. L’uomo è biologicamente preparato ad adattarsi al cambiamento.
Io credo che non sia il ricordo di ciò che eravamo a portare ad una scelta così estrema, ma è il non riconoscersi nell’immagine dell’oggi, di un oggi che non è un giorno, una settimana, un mese, ma sono anni.
Anni che trascorrono rallentati in modo estremo, che ti mettono a contatto con la tua voce 24 ore su 24, dove ogni singolo gesto scontato è rilevante e dove scegliere è un privilegio che forse non rivedrai mai più.
Ed ecco che è qui, è questo il punto in cui mi convinco. Sulla possibilità, anzi il diritto di scegliere per se stessi. 
Io, che credo fortemente nelle scelte, quelle personali, quelle che fanno di te la persona che vuoi essere, quelle che sono uniche portatrici di felicità.
Quando non si può più scegliere si muore, lentamente. E questa è sì la morte di cui dobbiamo aver paura, perché è quel tipo di morte che ci rende sconosciuti persino a noi stessi.
Le lacrime possono essere anche molto più belle e soddisfacenti di un sorriso, a volte.

domenica 12 febbraio 2017

La Cosa. Epilogo

La storia è finita.
Potrei non aggiungere nulla, ma devo.
Devo aggiungere, devo dire, devo comunicare.
Devo dire grazie. A chi?
Non spaventatevi.
Io oggi, devo dire grazie a La Cosa.
Devo dire grazie alla mia malattia, al mio tumore maligno, al mio cancro dal nome strano.
Devo dire grazie a quella prima cellula che è impazzita nel mio ovaio sinistro.
E' un po' da matti, vero?
Non ne dubito.
Ma, forse, io un po' matta lo sono sempre stata, e quindi è del tutto normale.
Voi penserete che esagero, che mi sto sforzando, che è una cosa che ho elaborato ora, a distanza di tempo.
E invece no, dovete credermi. Il mio grazie non è retorico, non è a posteriori.
Questo post è nella mia mente già da un sacco di mesi.
Questo grazie è già nella mia mente da un sacco di mesi.
Non è un modo di andare avanti, guardando da lontano, non è un modo di scavalcare il muro. Io questo l'ho già fatto.
Questo post non è per me. Io so già quanto sono grata alla mia storia.
Questo post è per voi, e io mi auguro che voi ci crediate, perché non sprecherei parole se non sapessi quanto sia importante.
Ho sentito molti raccontare che la malattia li ha cambiati.
Beh, io invece dico grazie al mio tumore, perché non mi ha cambiato affatto.
Il mio tumore, La Cosa, mi ha "solo" permesso di avere maggior consapevolezza di me.
Non mi ha reso più forte di ciò che ero, ma mi dato l'occasione di mostrare al mondo la forza che io ho sempre saputo di possedere.
Avrebbe potuto farmi sentire impotente, e - lo ammetto - in qualche frangente lo ha fatto, ma mi ha fatto sentire soprattutto padrona della mia vita.
Il tumore mi ha dato l'occasione di essere irreparabilmente vera. Irreparabilmente Silvia.
La Silvia di cui vado fiera, anche quando diventa intollerante e manda a quel paese la gente.
Io, grazie al mio tumore, mi piaccio ancor più di quanto non mi piacessi prima.
E come si può non ringraziare per questo?
Io che credo fortemente nella volontà, nel potere delle scelte.
No, io non tornerei mai indietro.
Se qualcuno volesse prendersi la malattia al posto mio, gli direi di non provarci neanche, di non togliermi per nessun motivo al mondo questo grande dono che ho ricevuto.
Sofferenza annessa.
Dobbiamo imparare ad avere un po' meno paura, a fidarci di noi stessi, a vivere le nostre emozioni, a sentirci fortunati, dobbiamo imparare che non è vita senza sfide, che bisogna lasciare andare qualcosa per poter ricevere altro.
Dobbiamo gioire quando ci sentiamo in bilico e percepiamo la contraddizione dentro di noi. Perché quelli sono i momenti in cui si sceglie chi si vuole essere.
Qualcuno ha detto: "Più grande è la lotta, più glorioso è il trionfo". Ed è maledettamente vero.