martedì 2 maggio 2017

Un anno.

Un anno.
365 giorni.
Questo è il tempo che è trascorso dalla prima infusione.
Sì, così si chiama. Come quando prepari il tè alle quattro del pomeriggio.
Ma ciò che viene infuso non sono dense e profumate foglie aromatiche. È veleno, e finisce dritto dritto nel tuo corpo.
Il 2 maggio 2016, a quest’ora, stavo terminando la mia prima seduta di chemioterapia.
La ricordo bene: i due tentativi per prendere una vena buona; il quasi svenimento nei primi 15 minuti, confessato solo settimane dopo alla mia mamma per non farla spaventare; la sensazione mista di paura e spavalderia.
Ricordo il desiderio di scrivere e - il mio primo giorno - lo avevo anche fatto, quando credevo che le forze mi sarebbero bastate anche nei giorni successivi, quando nel pomeriggio solo andata a fare zumba, come se nulla fosse.
Un anno.
Il calendario non permette di dimenticare, ma anzi, ci invita a fare bilanci, a ricordare avvenimenti, a festeggiare anniversari. E questo mi piace. Perché lo trovo importante.
Io oggi ricordo, commemoro l’inizio di una lotta di cui vado fiera, una lotta che mi ha tolto alcune cose, ma che me ne ha donate molte di più.
Stamattina Facebook e il suo “accadde oggi” mi ha permesso di rileggere i più di 80 commenti che amici e conoscenti mi hanno lasciato sotto alla foto dove annunciavo l’inizio della terapia. Beh, non ho potuto che piangere sul cuscino per tutto quell’affetto e, più ancora, per tutta la stima che trasudava da quelle parole; poche, a volte quasi scontate, ma che hanno un valore inestimabile per chi in quel momento ne ha bisogno.
A un anno di distanza non posso che essere felice di dove sono ora. Domani vado a firmare il consenso per togliere il port-a-cath dal mio petto. La lotta non è mai finita, perché la vita stessa è una lotta, in tutte le sue sfaccettature; ma quella battaglia sì, quella battaglia è terminata e io ho vinto.

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